Luciano Canova è un economista giovane, brillante e con il fuoco dentro, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testate di divulgazione scientifica come lavoce.info, GliStatiGenerali, Infodatablog, Il Sole 24 Ore e ha una passione per la comunicazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto AppyMeteo insieme ad Andrea Biancini, insegna Economia Sperimentale e collabora con diverse Università. È il professore di Economia della Felicità sulla piattaforma oilproject.org. Passiamo quindi la parola a Luciano (e grazie, Chiara, per avercelo presentato!) riportandoti l’intervista che ci ha concesso e segnalandoti poi alcuni contributi presenti in rete.
Qual è il tuo perché, il tuo scopo? Perché hai scelto di occuparti, da economista, di felicità?
Caspita, questo è un domandone. Diciamo che, per avere la big picture, normalmente guardo più vicino per accorgermi bene di cosa mi circonda. Insomma, prima di usare il telescopio, uno sguardo a occhio nudo verso il cielo non guasta mai. Ciò detto, il tema e la parola felicità mi hanno sempre attratto, in primis da un punto di vista etimologico. Ricordo di essere rimasto molto colpito dalla storia di Cleobi e Bitone, raccontata da Erodoto come esempio di vita felice. I due fratelli, due bei ragazzoni forti e vigorosi, devono accompagnare la madre a una festa religiosa in città. Essendo in ritardo, staccano i buoi dal carro e decidono di portare la madre loro stessi, entrando in città in tempo per la festa tra le grida di gioia degli abitanti e con la madre che ne tesse le lodi. I due fratelli banchettano felici, celebrati per la loro impresa, si addormentano un po’ ubriachi… e muoiono nel sonno. Ma come? Per essere felici i Greci pensavano che si dovesse morire? Diciamo che a partire da questa strana storia mi sono appassionato al tema della felicità, capendo da subito che si tratta di un problema complesso, sfaccettato, da trattare con delicatezza. Col tempo ho capito che il senso del racconto di Cleobi e Bitone, in un mondo in cui si viveva poco e non si aveva granché accesso a molti beni materiali o a esperienze di consumo particolarmente varie, era che per avere una vita felice bisognava trovare un significato all’esistenza. I due fratelli muoiono proprio al culmine di un’esperienza densa di pienezza. Ecco perché, anche in economia, ho sempre cercato la multidimensionalità e la complessità: cercare di vedere le cose da più punti di vista, misurarle tenendo proprio conto di tale ricchezza
Quanto il sistema politico italiano, dal tuo punto di vista, sta ascoltando e consultando la comunità scientifica economica per recepire queste informazioni e trasformarle in programmi e politiche concrete?
Probabilmente sono un inguaribile ottimista, ma non vedo poi così malaccio le cose. Innanzitutto, anche in Italia c’è un sistema di indicatori che consente di misurare il benessere in modo multidimensionale, anche per monitorare ciò che non va. Il World happiness report dell’ONU segnala che l’Italia ha avuto un problema nell’ultimo decennio, con una riduzione vistosa della felicità secondo gli indicatori proposti dal rapporto. Già il fatto di poterlo dire, e argomentare, rappresenta la possibilità di misurare e, dunque, di aprire il dibattito per cambiare le cose. Nel 2013, poi, l’Istat allora diretto da Enrico Giovannini lanciò il BES (Benessere Equo e Sostenibile) un approccio multidimensionale che, in partenza, voleva avere l’ambizione, a mio avviso bellissima, di creare una nuova costituzione statistica per il paese. Il progetto è un po’ abbandonato, ma non i semi di una visione decisamente innovativa e all’avanguardia.
Quanto è entrato, dal tuo punto di vista, nei comportamenti delle persone il tema del benessere o del bene comune come scopo collettivo da realizzare in maniera consapevole, programmatica, concertata?
Beh, quasi troppo…Mi spiego: il tema felicità è catchy, tanto che molti brand ne hanno fatto messaggio centrale delle loro campagne pubblicitarie. Il concetto di felicità è complesso e, ahimè, scivoloso quando gli si vuole dare una lettura superficiale. E in parte lo diventa, quando si scrivono articoli naif su hygge o ikigai, tutti approcci più che degni e portatori di tradizione e cultura, ma anche da affrontare con serietà. Comunque, il fatto che si possa parlare di felicità è un buon segnale, per società ricche (lo possiamo dire senza tema di smentita) Società che, superato il problema sopravvivenza, hanno il tempo di riflettere sulla propria visione di benessere.
Quali sono, secondo te, le principali sfide, difficoltà, resistenze o gli ostacoli da affrontare nel percorso di costruzione di una società fondata sul principio della felicità o del benessere?
Direi innanzitutto la consapevolezza della complessità, in primis per sapere riconoscere i passi da gigante fatti in questi anni (ed è un periodo breve, se guardiamo bene). Sostanzialmente, la più grande difficoltà sembra a me sempre quella di volere ridurre un concetto dalle molte sfumature a un’unica dimensione, sia essa il reddito o il benessere soggettivo. Sì, perché anche la retorica della felicità può essere pericolosa. Felicità è riduzione della sofferenza, che a me pare sempre importante ricordare perché, in un’eventuale scala 0-10 del livello di felicità, si guarda sempre ai numeri dal 6 in su, ma sono importanti anche le cosiddette insufficienze
Tu hai anche un ruolo e una responsabilità nella formazione dei ragazzi, future classi dirigenti o professionisti di questo Paese. Come accolgono e quanto è sentito dai giovani il tema felicità e benessere?
Sempre con grandissimo interesse. La parola felicità acchiappa, così come pure la sua correlazione con un altro termine che, invece, viene sempre visto con sospetto, quando non con ostilità: economia. Ecco, un aspetto importante dal punto di vista della didattica è sdoganare l’economia dalla sua vecchia definizione di ‘scienza triste’. In ogni caso, c’è grande attenzione, curiosità, e anche voglia di scoprire negli studenti, quando adeguatamente stimolati
Quanto, secondo, te l’Università e tutto il sistema dell’istruzione e formazione italiano (comprese le Business School) è consapevole, preparato, pronto ed impegnato concretamente a raccogliere la sfida educativa posta dal paradigma della felicità e del bene comune come principi fondanti i nostri sistemi e la società?
Più di quanto si pensi. Ci sono molti corsi di Economia politica che, di fatto, affrontano il tema della felicità e della sua misurazione. Lo stesso dicasi per l’insegnamento di economia comportamentale. Inoltre, come non richiamare l’esperienza e la tradizione dell’economia civile, che vede proprio in due economisti italiani tra i suoi massimi esponenti? L’attività e l’opera di Luigino Bruni e Stefano Zamagni è un fiore all’occhiello della storia del pensiero economico italiano, con il recupero del pensiero dell’illuminista napoletano Antonio Genovesi. In generale, il tema del benessere e della qualità della vita è sempre più al centro di numerosi corsi, anche quelli che trattano dei temi di economia ambientale e sostenibilità
Quanto, secondo, te l’Università e tutto il sistema dell’istruzione e formazione italiano (comprese le Business School) è consapevole, preparato, pronto ed impegnato concretamente a raccogliere la sfida educativa posta dal paradigma della felicità e del bene comune come principi fondanti i nostri sistemi e la società?
Più di quanto si pensi. Ci sono molti corsi di Economia politica che, di fatto, affrontano il tema della felicità e della sua misurazione. Lo stesso dicasi per l’insegnamento di economia comportamentale. Inoltre, come non richiamare l’esperienza e la tradizione dell’economia civile, che vede proprio in due economisti italiani tra i suoi massimi esponenti? L’attività e l’opera di Luigino Bruni e Stefano Zamagni è un fiore all’occhiello della storia del pensiero economico italiano, con il recupero del pensiero dell’illuminista napoletano Antonio Genovesi. In generale, il tema del benessere e della qualità della vita è sempre più al centro di numerosi corsi, anche quelli che trattano dei temi di economia ambientale e sostenibilità.
Quali sono, secondo te, 3 cose che bisognerebbe iniziare a fare, 3 cose che bisognerebbe smettere di fare e 3 cose che si possono continuare a fare per costruire università, scuole, classi in cui il benessere e i bisogni di studenti, professori, insegnanti siano davvero al centro?
Premetto, io sono solo docente a contratto di università italiane. Il mio lavoro full time è in una corporate university che rappresenta davvero un contesto un po’ particolare. Dico comunque la mia rispetto alla domanda:
3 cose che bisognerebbe iniziare a fare:
- rispondere alle mail degli studenti per tempo: lo dico perché capita spesso che uno studente avverta una sorta di abbandono da parte del docente. E la gentilezza di un servizio efficiente è il miglior viatico per un ambiente felice
- spingere per un contesto di lavoro meritocratico (come comincia a essere in questi ultimi anni) e che definisca anche meccanismi premiali per la didattica, troppo spesso delegata a ruolo di secondo piano digitalizzare al più presto gli ambienti per consentire connessione e possibilità di sperimentare ancora di più metodi di didattica collaborativa e classe ribaltata
3 cose che bisognerebbe smettere di fare:
- Partecipare al coro dei lamenti, la tragedia greca che vede l’università italiana come il luogo delle peggiore nefandezze e misfatti, bersaglio facile di critiche un tanto al chilo
- Organizzare meno convegni auto-referenziali
- Burocratizzare i percorsi di apprendimento con un’esplosione di procedure demotivanti
3 cose che bisogna continuare a fare:
- Seminare curiosità, creare domande, far crescere passioni: magari non sembra, ma l’università ci riesce eccome
- Sperimentare nuove modalità di didattica, come avviene già in tanti istituti. Classe ribaltata, didattica collaborativa
- Favorire esperienze all’estero, rendendo sempre più semplice, anche per chi ha meno risorse, arricchirsi e contaminarsi con l’incontro di una diversa cultura