di Sandro Formica
Quanto di ciò che hai studiato ti ricordi ancora? Quanto, di ciò che hai imparato è stato davvero rilevante nella tua vita? Hai mai fatto il calcolo di quante ore hai passato a studiare?
Sei curioso di saperlo? Dovresti esserlo, visto che l’investimento di tempo, energia, sacrifici e denaro che facciamo per educarci è a dir poco straordinario. Infatti, in Italia siamo intorno alle 20 mila ore di studio accumulate prima di frequentare l’università.
Senza dubbio le tue ore di studio rappresentano, insieme al lavoro, il maggior investimento di tempo da quando sei nato. Nel chiedere la percentuale di ore di studio che ci ricordiamo a oltre 5.000 persone, la media delle risposte che mi sono state riportate si attesta intorno al 10%, il che equivale a 2 mila ore. Come mai ci ricordiamo così poco di quello che abbiamo studiato? La risposta che è emersa forte e chiara è che
ciò che abbiamo studiato non è stato percepito come rilevante nella vita, quindi è stato dimenticato.
Cosa sarebbe stato più rilevante studiare, rispetto a quelle materie delle quali ci siamo dimenticati tutto o quasi tutto? Che ne diresti se iniziassimo da noi stessi?
La Scienza del Sè e l’importanza di coltivare la Self Leadership
Solo nel 2018 la Harvard Business Review ha dedicato all’auto-consapevolezza ben sette articoli. In uno di questi, conoscere se stessi risulta essere anche più efficace di un MBA nel predire il successo di un leader.
Secondo l’autore circa il 40% dei CEO hanno un MBA. Molti studi su larga scala hanno però scoperto che la leadership basata esclusivamente sulla logica acquisita attraverso MBA non è sempre sufficiente per ottenere risultati finanziari e culturali a lungo termine e che spesso è dannosa per la produttività di un’organizzazione. In uno studio, i ricercatori hanno confrontato le prestazioni organizzative di 440 amministratori delegati che erano stati celebrati sulle copertine di riviste come BusinessWeek, Fortune e Forbes. I ricercatori hanno diviso i CEO in due gruppi, quelli con un MBA e quelli senza, e hanno poi monitorato le loro prestazioni per sette anni. Sorprendentemente, le prestazioni di quelli con un MBA erano significativamente peggiori.
Quello che chiaramente sta emergendo è che la chiave dell’efficacia e del successo, al lavoro come nella vita, è la cosiddetta Self Leadership, ossia partire da noi stessi e dalle componenti che formano o condizionano il nostro essere: l’insieme di queste componenti costituisce la “Scienza del Sé”.
Come si sviluppa la Self Leadership? Di cosa dobbiamo diventare consapevoli, dunque?
I bisogni. Rappresentano la prima dimensione della Scienza di Sé, in quanto tutti i comportamenti sono riconducibili alla soddisfazione di uno o più bisogni. Pertanto, acquisire consapevolezza di come ci comportiamo in relazione ai bisogni che desideriamo soddisfare ci permette di verificare l’esistenza di comportamenti alternativi a quelli esistenti che siano più sostenibili e che favoriscano il benessere a medio e lungo termine dell’individuo, dell’azienda e della collettività. Più diventiamo consapevoli dei nostri bisogni, maggiori sono le possibilità di raggiungere l’auto-realizzazione ed esprimere il proprio potenziali più elevato.
I valori. A differenza dei bisogni che sono universali e accomunano tutti gli esseri umani, i valori sono unici e influenzano la nostre scelte, da quelle più semplici, come svolgere un compito di routine, a quelle più impattanti, come le decisioni strategiche che influenzeranno l’azienda nei prossimi cinque anni. Tutti noi siamo sotto una profonda influenza del condizionamento sociale, che ci spinge ad adottare valori comunemente accettati dagli ambienti che frequentiamo e ci forza ad abbandonare i veri valori che ci rendono unici. Così facendo, contribuiamo a creare un forte appiattimento dell’individuo a discapito della performance personale e aziendale. Riscoprire e coltivare i propri valori permette all’individuo e alla società di cui fa parte, di fiorire facendo leva sui propri punti di forza e accrescendo la soddisfazione e la produttività.
I talenti e le competenze. Così come abbiamo sacrificato i valori personali a vantaggio di quelli ritenuti “accettabili” dalla società, allo stesso modo abbiamo abbandonato uno o più talenti in quanto considerati non “utili” o “conformi” o “appropriati” dalla collettività. Frequentemente, le persone confessano di aver lasciato da parte il proprio talento per la musica, l’arte, il gioco, ecc. aderendo ad una convinzione collettiva che non avrebbe contribuito a trovare un lavoro. Numerose esperienze organizzative stanno invece dimostrando che grazie all’accettazione, allo stimolo e al supporto dei talenti individuali le aziende hanno maggior successo, trovano la loro vena innovativa e la loro unicità. Nel verificare le competenze apprese fin ora e quelle che verranno acquisite in futuro, viene prestata particolare attenzione all’allineamento di quest’ultime ai propri talenti. L’obiettivo è quello di alimentare competenze che possano mettere ancora più in risalto quei talenti per creare metodi competitivi supportati da “unique selling propositions”. Al contrario, il mancato allineamento tra talenti e competenze crea, come spesso accade, uno scollamento tra i compiti che svolgiamo ogni giorno al lavoro e il contributo che potremmo dare all’organizzazione e a noi stessi nell’esprimere e mettere in pratica ciò che ci contraddistingue.
Le convinzioni. Si tratta della nostra programmazione mentale. La scienza ha stabilito che facciamo dai 50.000 agli 80.000 pensieri al giorno e la maggior parte di questi pensieri è negativa. I pensieri nascono e sono direttamente influenzati dalle nostre convinzioni. Infatti, nell’osservare il medesimo evento, io e te creeremo percezioni e pensieri differenti. Quei pensieri sono inequivocabilmente allineati alle convinzioni personali che sono radicate nel cervello rettile e si sono formate nel corso delle nostre esperienze da quando siamo nati. Le convinzioni agiscono come filtri che permettono di interpretare quello che viviamo. Spesso e inconsapevolmente la maggior parte dei pensieri che facciamo va contro noi stessi, è in antitesi con ciò che vogliamo creare e anche contro il benessere dell’azienda. E’ di fondamentale importanza riconoscere, quindi, le proprie convinzioni e modificare quelle che danneggiano non solo noi stessi, ma anche coloro che ci sono vicini, per aumentare la soddisfazione e la performance personale e collettiva.
Ancora, dopo decenni di ricerche è stato dimostrato e confermato che l’intelligenza emotiva è di gran lunga più importante di quella razionale, non solo al fine di vivere una vita felice e ricca di soddisfazioni, ma anche dal punto di vista della produttività e della leadership. La dimensione emotiva è cruciale infatti per l’efficacia del processo decisionale, per tessere relazioni sostenibili e di mutuo apprezzamento, rispetto ed empatia.
La comunicazione. E’ lo strumento primario per la soddisfazione dei propri bisogni. In azienda tendiamo spesso a puntare il dito verso l’altra persona, che non ha alternative se non quelle di attaccare o di difendersi. Essere consapevoli e leader di se stessi significa saper interpretare fatti ed eventi senza pregiudizi e filtri, esprimere le proprie emozioni con chiarezza e semplicità facendo emergere il bisogno che desideriamo essere soddisfatto. Comunicare ciò che è vero dentro di noi—emozioni e bisogni—aumenta considerevolmente le probabilità di successo nel creare empatia e nell’ottenere ciò che vogliamo, molto più di quando mettiamo in evidenza quello che è sbagliato nell’altra persona.
Il proposito di vita. E’ rappresentato dal nostro impegno e dedizione, attraverso talenti e competenze, a un qualcosa che è più grande di noi stessi. Funge da bussola interiore e ci permette di determinare, in ogni momento della nostra esistenza, in quale direzione ci stiamo dirigendo e se quella direzione ci aiuta a raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Vivere una vita senza un proposito è come guidare l’auto senza sapere dove andare, senza avere una destinazione finale. Ecco perché le persone che hanno un proposito e lo perseguono vivono fino a sette anni più a lungo degli altri, sono più felici e si ammalano di meno. Uno studio effettuato dalla Ernst & Young ed Harvard ha rivelato che le aziende che utilizzano il proposito come strumento strategico principale sono di gran lunga più performanti delle altre aziende.
L’immaginazione. E’ il volano dell’evoluzione, aiuta a risolvere i problemi, è alla base dell’innovazione, stimola l’economia e, complessivamente, promuove la crescita in ogni aspetto di vita. Tuttavia, coloro che lavorano in azienda hanno generalmente ricevuto una formazione tecnico analitica che enfatizza quasi esclusivamente la logica, l’analisi, la razionalità, la coerenza e la sistematicità. Anche al giorno d’oggi, dove la medicina e lo sport ne hanno testato scientificamente i benefici e utilizzano l’immaginazione per migliorare le condizioni dei pazienti e la performance degli atleti, consideriamo l’immaginazione quasi un tabù, un difetto o, nella migliore delle ipotesi, una facoltà ricreativa. Rimettere in funzione la parte destra del nostro cervello, quella creativa, sensoriale e intuitiva, consente di esprimere al meglio quelle potenzialità che vanno oltre gli schemi e le limitazioni imposte dagli altri, per aumentare la creatività e l’innovazione.
Infine, la pianificazione di vita. E’ la dimensione che consente di indirizzare la consapevolezza di Sè verso la creazione di un futuro rispetto al quale si è convinti di poter gestire le sfide e le opportunità che s’incontreranno con resilienza e autodeterminazione. Saper pianificare è fondamentale per sentirsi in controllo, attori, produttori e registi della propria vita del proprio lavoro.
La conoscenza di te stesso è il più grande servizio che puoi rendere il mondo.
Ramana Maharshi