Articolo di Cristina Cortesi
Per il grande medico e filosofo Ippocrate la base della guarigione era insita in una ricetta composta da 3 ingredienti essenziali: il tocco, il rimedio, la parola. L’evoluzione scientifica non può soppiantare questa formula, che resta nella sua semplicità, la più complessa da applicare e che pochi ancora conoscono, purtroppo nemmeno gli addetti ai lavori. Giurano di ispirarsi ad essa, ma non viene fatta rientrare nei protocolli socio sanitari: l’umanizzazione delle cure. Oggi è possibile arricchire la ricetta con l’arte, il canto, la danza e il teatro e così pratiche di medicine alternative, che integrano e potenziano la medicina classica. «Curare» significa prendersi cura della persona, prima ancora che della malattia e possiamo oggi, grazie alle neuroscienze e ad altri preziosi contributi, prenderci cura della felicità delle persone. Toccare il tema della felicità in abbinamento alla demenza o Alzheimer? Temerari Gianna Frasca e Roberto Dominici, promotori del Cafè Alzheimer di Lissone, i quali mi hanno chiamata a condurre l’evento di apertura e realizzare una sorta di filo rosso tra i diversi interventi. Chiamata in qualità di Genio Positivo, di portatrice sana di un virus chiamato “felicità”. Sì, lo ammetto sono positiva, un’inguaribile positiva. Una delle cose più straordinarie che ho sperimentato durante l’incontro con le associazioni coinvolte, con i professionisti che conducono i laboratori e con Roberto Dominici, medico e neuroscienziato, è stata la coerenza in rapporto alla felicità quale competenza, la fervida convinzione che la chimica della positività è più che mai necessaria e auspicabile in un contesto di cura e assistenza. In particolare il Cafè Alzheimer è una preziosa occasione per spezzare la routine di fatica, isolamento e ripetitività, creatasi non solo in rapporto alla patologia, ma anche alla comunità che a fatica intercetta positivamente la presenza e l’impegno del caregiver. Cercare di contrastare l’effetto nocebo insito nel carico e nello stress da lavoro di cura è un’impresa titanica, ma l’ingegno sta nell’iniziare dalle basi, dalla consapevolezza, dall’idea di meritare una ricarica e una gioia che è possibile cogliere quotidianamente e che permette di diventare resilienti.
Una delle evidenze scientifiche è che la memoria emozionale ed affettiva non si annullano con la malattia, restano vive, talvolta sopite ed è necessario coltivarle, irrorarle e curarle appunto.
Ha lasciato un segno di incanto e di grande emozione l’intervento del coro “Sonoramente”, composto da persone colpite da Alzheimer e dai loro caregiver, familiari e professionali. L’esperienza del coro, nato in seno all’associazione Walter Vinci, condotto da Guglielmo Nigro, musicoterapeuta, dimostra come la musica e la relazione sociale siamo fondamentali produttori di dopamina e ossitocina, soprattutto che non fanno differenza tra chi è ammalato e chi non lo è, colpiscono in positivo senza pietà! Abbraccia tutti in un unico corpo musicale…e sociale. La mente sonora, come quella colorata e fatta di segni o di movimento e danza – laboratori condotti da Alice Panza e Vincenzo Genna – portano la mente ad aprirsi, a distrarsi e a cogliere il bello, a connettersi con la felicità.
Il teatro e la sua potenza di comunicazione hanno raggiunto il loro obiettivo grazie al contributo di Filippo Mussi e di sua moglie Paola, i quali hanno riportato tutti noi all’essenza: vivere qui e ora, assaporare l’esistenza nel suo disvelarsi, nella natura, nel corpo, nel respiro e nel contatto, anche solo nel morso di una mela. La letteratura, la poesia, la parola artistica quale invito a lasciarsi attraversare da una innegabile musicalità della narrazione.
Al termine dell’evento ho condotto una meditazione della gratitudine: la sala gremita e silente, occhi chiusi, cullati dal handpan suonato da Guglielmo Nigro, una profonda connessione con tutti i protagonisti dell’evento e con il pubblico. I saluti, le strette di mano, i sorrisi, una volontaria si avvicina e commossa manifesta la sua grande serenità e gioia durante la meditazione. Ed è come se ci fossimo incontrate su un altro pianeta.
Forse è stato proprio così…in un’altra dimensione, quella che possiamo cercare ogni giorno nella nostra vita.
Una cosa è certa, la malattia della quale sono colpita da anni è di trovare il modo di sostenere i caregiver e spero di non guarire mai. Il tormento di un artista, di uno scrittore può essere anche quello di un formatore, di un filosofo: curare chi cura e curare la sua felicità.