Abbiamo grandi sfide davanti a noi, come leader ma prima di tutto come specie umana.
Fino a poche settimane fa discutevamo dei moniti dei climatologi, che avvertivano che non avevamo molto tempo per passare da un mondo tutto incentrato sul profitto e sul reddito e ben poco interessato ai danni ambientali, ad un mondo dove i gas serra fossero sensibilmente ridotti.
Gli economisti ci esortavano a riflettere sul fatto che la disuguaglianza fosse diventata altrettanto implacabile e che l’aumento delle disuguaglianze, lungi dal favorire la crescita del PIL, avrebbe ridotto il capitale sociale necessario per sostenere la crescita.
I futuristi ci invitavano a considerare il fatto che i cambiamenti a cui saremmo stati chiamati a partecipare sarebbero stati sia profondamente personali che intrinsecamente sistemici.
Ma quanti di noi avevano effettivamente compreso il senso pratico di quest’ultima affermazione e quindi hanno attivato misure e fatto scelte a livello personale ed organizzativo per essere pronti ad affrontare questi cambiamenti?
La grande prova generale di resilienza e anti-fragilità individuale e sistemica è arrivata per tutti noi con le misure restrittive emanate dal Governo per gestire la diffusione del contagio da Covid-19.
Costretti all’isolamento sociale e all’adozione forzata di nuovi strumenti e pratiche di lavoro che fino a ieri pensavamo tutto sommato non necessarie o che abbiamo adottato senza preparare il necessario terreno culturale alla loro adozione efficace (digitale, smart working, de-gerarchizzazione delle organizzazioni), oggi “realizziamo” di quanto siamo poco preparati e fragili, sia umanamente che come sistema, a gestire il famoso mondo VUCA (volatile, incerto, complesso, ambiguo).
Siamo impreparati a livello umano, perché abbiamo confuso l’amore con la prossimità fisica o il contatto; l’amore come nostro diritto e bisogno da soddisfare che viene prima di qualsiasi altra esigenza, anche della tutela della salute pubblica, e che ci spinge, ad esempio, a muoverci dalle zone “chiuse” per tornare a “casa”, senza considerare che l’altro a cui voglio ricongiungermi per amore è un genitore o forse un nonno più anziano, che metto in pericolo. E’ effettivamente amore o solo un’altra forma di egoismo che nasce da una spinta interiore al controllo e al possesso?
Siamo impreparati a livello sociale, perché per il nostro senso di responsabilità verso il lavoro, per paura di perdere il controllo della situazione o per continuare a fatturare nonostante tutto andiamo in ufficio anche se possiamo lavorare da casa. Oppure per dimostrare che siamo più forti, invincibili e che nessuno può fermarci, non siamo disposti a rinunciare a nessuna delle nostre abitudini e continuiamo a fare aperitivi dopo il lavoro, andare in piscina, palestra, al ristorante, “tanto se sono aperti”… Non è anche questo ancora egoismo, mascherato da professionalità o peggio pensiero positivo superficiale, pronto a disprezzare qualsiasi divieto, sia che si tratti di una legge dello Stato che della voce proveniente dalla propria coscienza?
E a livello aziendale ed organizzativo? Oggi scopriamo quanto i modelli mentali comanda e controlla e le gerarchie siano messi a dura prova dalla situazione che impone insieme alla distanza anche la fiducia.. Fiducia nelle capacità delle persone di organizzarsi e gestirsi il proprio lavoro da casa in maniera responsabile o nelle nuove tecnologie a supporto di forme e modalità di lavoro diverse e altrettanto efficaci.
In questi giorni sta venendo alla luce la necessità e la maggior efficacia delle organizzazioni positive: organizzazioni che hanno saputo, in tempi non sospetti, coltivare il proprio capitale sociale, investire nella creazione di relazioni di fiducia con e tra i propri collaboratori, creare una cultura aperta alla sperimentazione, alla trasparenza e alla responsabilità individuale, che hanno coltivato leader gentili capaci di far crescere i propri team e diffusi a tutti i livelli, che hanno progressivamente eliminato gerarchie e privilegi inutili.
Organizzazioni positive che stanno funzionando bene nonostante il lavoro da remoto di tutti i collaboratori, che stanno mettendo in campo sforzi extra o assorbendo gli shock di questa contingenza facendosi forza gli uni con gli altri, sostenuti dal senso di appartenenza che hanno saputo costruire prima.
E’ ora di prendere atto che il modello dell’essere umano “signore del pianeta e terrore dell’eco-sistema”, come definisce la nostra specie Yuval Noah Harari, non può più funzionare: siamo in equilibrio precario su ciò che i fisici chiamano “punto di biforcazione”, un interregno di normalità tra i poli della fine di un vecchio ordine e la lotta per emergere dal suo stato embrionale di uno nuovo.
E possiamo sfruttare questa situazione per fare un salto in avanti come individui e come sistema, realizzando che da soli non andiamo da nessuna parte, che la mia salute e la mia sopravvivenza dipende dalla salute degli altri; che l’altro – il mio collega, l’amico, i genitori, la nonna e tutti gli sconosciuti – sono influenzati da ogni mia azione – e quindi solo insieme, uniti da una forte volontà comune, sentendoci parte di uno stesso miracolo (o progetto se preferite..) possiamo vincere ed evolverci.
Come in fin dei conti hanno fatto tutte le specie che sono sopravvissute.
Abbiamo bisogno di prendere coscienza delle nostre convinzioni personali disfunzionali, di dare nuova energia ai valori collettivi, di aggiornare i nostri modelli culturali e sociali trascendendo le visioni ristrette ed egocentriche per abbracciare una visione nuova, che riporti l’uomo al centro e il bene comune come scopo della sua azione nel mondo. Nella profonda convinzione che siamo tutti interconnessi e solo insieme possiamo farcela.
La sfida che ci attende è entrare nell’era della creazione del valore eco-sistemico e visto che siamo in molti a crederci ed agire in questa direzione, sappiamo che ce la faremo.