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Positive Organizational Management. Quando il “benessere” del personale influenza la componente morale della capacità di combattimento.

di Marco Javarone | Capo Sezione Impiego Personale – Esercito Italiano

Marco, quali sono le principali responsabilità del tuo ruolo?

In ambito multinazionale composto di diciotto nazioni, sono co-responsabile di monitorare, sincronizzare l’afflusso e il deflusso delle risorse umane in aderenza alle disposizioni d’impiego nazionali armonizzate a quelle previste in ambito NATO. In funzione delle expertise maturate dal personale e delle job description, provvedo a fare proposte per prevedere la crescita professionale del personale o per far fronte a eventuali vacanze. Collaboro alla supervisione del processo di revisione annuale delle job description e alla revisione ordinativa del Comando, nel consesso internazionale regolato dal meccanismo del consenso che prevede la negoziazione tra le Nazioni per l’alimentazione delle posizioni.

Qual è l’obiettivo del tuo prototipo da Chief Happiness Officer (CHO)?

Introdurre il concetto di organizzazione positiva nell’istituzione in cui lavoro, per aumentare il livello di consapevolezza di tutti gli attori ai diversi livelli ordinativi rispetto a: risorse possedute, qualità delle comunicazioni interpersonali e di quelle tra unità all’interno del Comando, misurare il feedback sulle principali attività dedicate al welfare.

Come è nato il tuo prototipo e come hai rivisto il tuo contesto professionale, dopo la certificazione in CHO?

La fase di studio a distanza mi ha permesso di osservare la mia organizzazione e il mio ruolo nelle risorse umane con occhi diversi. Il concetto di “bilinguismo organizzativo” è stato il grimaldello di riferimento per capire come iniziare sin da subito a tradurre i concetti di organizzazione positiva.

Dopo la certificazione, i due volumi di riferimento V. Gennari, D. Di Ciaccio “La Scienza delle organizzazioni positive”, Franco Angeli, ed. 2019 e il relativo manuale non sono più usciti dal mio zaino.

Ho sfruttato ogni occasione per ricondurre dinamiche lavorative, processi organizzativi, stili di leadership, comunicazione interpersonale, processi di formazione al modello culturale dell’organizzazione positiva. Ho preso continuamente appunti per capire come proporre il cambiamento. 

Il primo passo per iniziare a condividere questa mia volontà di cambiamento è stato quello di coinvolgere il cerchio più stretto delle relazioni professionali nell’esercizio per il confronto dei bisogni e valori tra di noi. Uno strumento che si è rilevato potentissimo alla luce dell’ottima relazione umana e di stima professionale che ci lega. Infatti, in seguito i due colleghi hanno commentato l’esperienza con le loro famiglie e con i loro pari livelli. 

Lo studio continuo e il confronto con il Team CHO attraverso Linkedin sono stati gli elementi che hanno continuato a d alimentare la consapevolezza delle mie potenzialità. Durante lo studio personale per la costruzione del prototipo, il Comando è stato coinvolto per dare un contributo allo Stato Maggiore dell’Esercito relativo ai seguenti ambiti: organizzazione, personale, addestramento, capacità e sistemi, infrastrutture.

In questo contesto, in sintesi, ho indirizzato il lavoro per definire azioni ed effetti contestualizzati ai panel di discussione – organizzazione, personale, addestramento, capacità e sistemi, infrastrutture – non esplicitamente espressi nel documento di riferimento dello Stato Maggiore. Azioni ed effetti cui possono essere abbinati indicatori per misurare l’efficacia del provvedimento proposto. Si tratta, quindi, di linee d’azione ipotetiche per partecipare proattivamente allo sviluppo-crescita-trasformazione dell’organizzazione Esercito a fronte delle sfide future in un’ottica sistemica. L’organizzazione può essere, infatti, considerata un organismo vivente in grado di adattarsi alle mutate condizioni ambientali attraverso l’attuazione di una strategia positiva e coerente. La coerenza della strategia con cui affrontare il cambiamento in essere, e in divenire, permette di disegnare e implementare un’organizzazione (composta di strutture, processi e pratiche) sostenuta e sviluppata dall’agire di leader positivi, a tutti i livelli, consapevoli del proprio ruolo che promuovono la cultura militare ispirata al bene collettivo e scevra da interessi personali.

In tale ambito, ad esempio, in una dinamica bottom – up e top – down, una pratica positiva agita dalla più piccola unità organizzativa e una policy coerente e definita dagli Organi Centrali possono innescare effetti positivi sul benessere del personale generando comportamenti positivi (es: fidelizzazione) che producono risultati ben oltre le attese (es: miglior livello addestrativo). Risultati generati da un elevato senso di responsabilità individuale ispirato all’interesse collettivo.

L’innesco per lanciare il prototipo è stato l’intervento fatto dal Comandante di fronte a tutti i responsabili, dal mio livello di Capo Sezione passando per i Capi Ufficio sino a Capi Divisione con il quale ha sostenuto che un professionista può lasciare un segno tangibile del proprio passaggio solo se, dopo avere assolto il proprio compito, si prodiga per l’organizzazione partecipando agli eventi organizzati per la comunità coinvolgendo le rispettive famiglie. Successivamente, il Capo di Stato Maggiore ha commentato l’episodio e ha chiesto se qualcuno aveva delle osservazioni. Dopo un attimo di silenzio ho chiesto di poter parlare.

Il concetto che ho espresso è che per innalzare il livello partecipativo alle attività organizzate per la comunità complessiva (personale che lavora e rispettive famiglie), deve esserci la voglia di condividere anche il tempo libero tra noi che lavoriamo quotidianamente insieme. Questa condizione si può verificare solo se il clima relazionale durante l’orario di servizio è caratterizzato da capacità di ascolto e condivisione che facciano maturare anche l’interesse e lo stimolo per condividere anche il tempo libero.

Tu fai parte di un’organizzazione particolare, quella militare, che oltre ad essere il terreno che ha dato origine ai modelli organizzativi che tutti conosciamo (piramide gerarchica, burocrazia, approccio al “comando e controllo”), oggi si confronta come tutte le organizzazioni con un ambiente esterno turbolento in un contesto internazionale che pone sfide non solo sul piano politico etc.. ma anche culturale. Quali bisogni, sfide e opportunità vedi?

La complessità e la ricchezza dell’ambiente multinazionale sono difficilmente riconducibili a un modello culturale unico. Se è vero che, a prescindere dal paese di provenienza, ogni membro del Comando è consapevole dei compiti della NATO, della dottrina di riferimento, delle procedure, dell’interoperabilità e quindi c’è un consapevole approccio comune a lavorare per assolvere la missione, è altrettanto vero che la cultura nazionale e l’educazione di ogni membro sono alla base della diversità di approccio.

Ora, il modello organizzativo è riconoscibile per la sua struttura gerarchico funzionale che caratterizza, a grandi linee, tutte le unità militari con l’aumento della complessità in funzione del crescente livello ordinativo. 

Attraverso comunicazione punto a punto, tra pari, e dopo la riunione “innesco”, anche tra me e i superiori, ho misurato la sussistenza di difficoltà comunicative all’interno degli uffici e tra le divisioni.

Questo in contrasto con la presenza di procedure standardizzate per condurre riunioni, compilare documentazione, pianificare le scadenze e i relativi output e l’utilizzo di strumenti informatici di condivisione. In seguito, attraverso i siti delle unità paritetiche e di livello superiore e la ricerca d’informazione diretta dai colleghi impiegati in altre unità, ho scoperto che venivano fatte misurazioni sul morale del personale militare, in un comando paritetico al mio, e sull’engagement del personale civile in uno di tre livelli sovraordinati. 

Da qui lo spunto per capire come iniziare a misurare gli aspetti organizzativi.

E, quindi, cosa hai fatto concretamente?

Dall’evento innesco sono partito per proporre la misurazione del gradimento delle attività dedicate alla comunità allargata, riconducibili alla famiglia delle azioni attuate per il welfare, per poi andare in profondità e capire la percezione che il personale ha della comunicazione interna, delle procedure di lavoro, dei rapporti con i pari e la dirigenza, del suo rapporto con l’organizzazione in termine di condivisione degli aspetti valoriali e del rispetto del work-life balance.

I punti che ho trattato nel briefing di presentazione sono stati:

  • Cosa significa Comunità?
  • Cos’è l’Organizzazione Positiva
  • Perché misurare la felicità
  • Come e quando misurare la felicità?
  • Quali implicazioni per la nostra organizzazione?
  • Cosa mi porto a casa
  • Case History
  • Riferimenti

Quindi, partendo dagli obiettivi interni che definiscono il benessere del personale e delle loro famiglie una priorità strategica per il successo dell’organizzazione, ho introdotto una nuova lettura del concetto di comunità:

  • la Comunità è viva perché composta da esseri umani: ognuno dei quali è portatore di con professionalità, emozioni, sogni, problemi, soluzioni, responsabilità;
  • la Comunità vive principalmente il suo coinvolgimento durante le ore di lavoro;
  • l’equilibrio vita-lavoro coinvolge l’intera Comunità.

Di conseguenza è più appropriato utilizzare il termine Wellbeing piuttosto che Welfare.

“Uno stato di benessere in cui ogni individuo realizza il proprio potenziale, può far fronte al normale stress della vita, può lavorare in modo produttivo e fruttuoso ed è in grado di dare un contributo alla sua comunità.”

Da qui il collegamento logico che evidenzia il legame tra la comunità originale, quella espansa che contiene le famiglie e il nesso con il rapporto vita-lavoro che meglio si definisce con il concetto di benessere.

“È un dato di fatto, i driver di coinvolgimento sul posto di lavoro hanno grandi somiglianze e si sovrappongono con i driver del benessere. Ad esempio, i quattro driver del coinvolgimento identificati nel rapporto Engage for Success sono: leadership e narrativa strategica; manager coinvolgenti; ascolto dei dipendenti; e integrità organizzativa. E, naturalmente, NRDC –ITA ha questi elementi. Le ricerche hanno anche dimostrato che una buona leadership e capacità di gestione sono vitali per la creazione di benessere  così come l’ascolto dei dipendenti, l’autonomia dei dipendenti, il controllo, la consultazione e la partecipazione sono anch’essi fondamentali, come dimostrato da una vasta gamma di studi di ricerca e dall’inclusione del controllo negli Standard di gestione esecutiva per la salute e la sicurezza. Altri driver del benessere, come evidenziato dal modello, sono il supporto e le buone relazioni di lavoro, oltre a lavori e ambienti di lavoro ben progettati; è probabile che questi elementi siano associati a livelli più elevati di coinvolgimento dei dipendenti. Questo è un cerchio virtuoso e il suo driver principale è la felicità.”

Alla luce di quanto esposto, ho definito il concetto di felicità al lavoro, considerando che:

  • la felicità è una direzione, non un luogo;
  • siamo felici al lavoro quando troviamo un significato in ciò che facciamo;
  • nessuna organizzazione è completamente positiva o convenzionale. Esse sono invece il rapporto tra comportamenti positivi rispetto a quelli convenzionali che si possono osservare. 

Senza soluzione di continuità, ho introdotto il concetto di organizzazione positiva, quale luogo capace di far fiorire le persone e ottenere risultati che superano le aspettative. Gli elementi caratterizzanti una organizzazione positiva sono una:

  • leadership positiva basata sull’esempio e la coerenza;
  • comunicazione positiva centrata sulla gratitudine e feedback tempestivi bottom up, top down e orizzontali;
  • una modalità di risposta “responsive” – intenzionale, invece che “reactive” – impulsiva.

Successivamente, sono passato all’introduzione del concetto di misurazione che fanno, generalmente, le organizzazioni convenzionali e quelle positive.

Le prime, di solito, misurano la soddisfazione sul lavoro. Fondamentalmente, la soddisfazione sul lavoro è ciò che pensi del tuo lavoro, quando soppesi i pro e contro ed è un giudizio razionale.

Le seconde iniziano a fare un passo in più. Misurando la felicità sul lavoro, infatti, si chiede ciò che si prova per il proprio lavoro. Quando si è al lavoro, si provano principalmente emozioni positive (orgoglio, gratitudine, felicità) o emozioni principalmente negative (rabbia, frustrazione, tristezza, ecc…). Il comparto emozionale appare “più forte” di quello razionale.

Ogni misurazione, perché sia efficace e dia risultati significativi, ha bisogno di una  partecipazione attiva. Prima di tutto, deve essere accettata come occasione dedicata a pensare alla propria situazione contingente, dal punto di vista dell’equilibrio tra lavoro e vita privata. L’efficacia di una misurazione è poi correlata al senso di responsabilità individuale. Siamo responsabili di noi stessi prima di chiunque altro: assumersi la responsabilità delle proprie azioni e impegnarsi in modo proattivo nello sviluppo professionale delle proprie capacità.

Fatte le premesse sul concetto di misurazione, il passo seguente è stato quello di definire gli obiettivi della valutazione:

  • migliorare il LoD 7 “Community“: misurare il feedback sulle attività di welfare;
  • chiarire la qualità della comunicazione interpersonale;
  • messa a punto del carico di lavoro per ogni unità (sezione, rami, divisioni);
  • capire se le procedure interne potrebbero essere riviste;
  • dare il via al processo per raccogliere proposte che potrebbero essere inserite nella prossima revisione organizzativa.

Ho inteso quindi concludere la mia presentazione, per riportare i concetti espressi a una realtà organizzativa simile a quella del Comando, con la presentazione di un case history:

«Immagina un luogo di lavoro in cui tutti si impegnano e contribuiscono con la loro piena capacità intellettuale, un luogo in cui le persone sono più felici e più sane perché hanno un maggiore controllo sul loro lavoro – un posto dove tutti sono leader … Tutto questo è possibile ma non con l’attuale paradigma di leadership ».

Tratto da L. David Marquet “Turn the ship around”.

Il richiamo al senso di responsabilità è un tema più volte evocato nella storia dell’uomo, fra tanti momenti ho scelto il seguente per donare alla platea un momento di riflessione personale: 

Courage is an inner resolution to go forward despite obstacles. Cowardice is submissive surrender to circumstances. Courage breeds creativity. Cowardice represses fear and is mastered by it. Cowardice asks the question, is it safe? Expediency asks the question, is it politic? Vanity asks the question, is it popular? But conscience asks the question, is it right? And there comes a time when we must take a position that is neither safe, nor politic, nor popular, but one must take it because it is right.” 

Dalla autobiografia di Martin Luther King Jr.

Questo briefing è stato presentato in plenaria tutti key leader del Comando e ai rappresentanti delle diciotto nazioni. In seguito c’è stato un dibattito e poi nei giorni a seguire sono stato ingaggiato per chiedere ulteriori delucidazioni. 

Ho quindi colto l’opportunità di approfondire il concetto di organizzazione positiva, di felicità al lavoro e di come, grazie alla responsabilità di ognuno, il cambiamento sarebbe potuto partire. Il briefing è stato pubblicato sulla pagina intranet del Comando a disposizione di tutti. 

Il passo successivo, attraverso il tool interno, è stato quello di condividere nuovamente i concetti di organizzazione positiva, felicità al lavoro e obiettivi della survey. Poi, applicando la procedura amministrativa prevista ho attivato un abbonamento al servizio Survey Monkey. La survey è stata costruita sul modello “Happier Employees and Return-On-Investment Course – The University of Texas at Austin” (su piattaforma EdXhttps://courses.edx.org/dashboard.)

Le domande sono state costruite per misurare:

  • la percezione del personale sul work-life balance in NRDC-ITA;
  • il livello di gradimento sugli eventi dedicati alla Comunità;
  • la qualità della comunicazione interpersonale;
  • il carico di lavoro interno.

L’esito della survey ha portato come output:

In generale, il personale è molto felice di essere parte del NRDC – ITA e il livello delle relazioni tra il personale è molto buono. Inoltre, il personale ha fiducia in se stesso al lavoro nella maggior parte delle situazioni. Tuttavia, esiste un margine di miglioramento per quanto riguarda la qualità dell’equilibrio tra vita professionale e vita privata. In particolare, la sensazione è che il lavoro non sia equamente distribuito tra i settori e la percezione relativa al lavoro di staff è che la forma è più importante della sostanza”.

Pertanto saranno pianificati workshop cross funzionali per individuare le misure di mitigazione e mettere in atto provvedimenti per iniziare il cammino per la trasformazione verso un’organizzazione positiva.

NOTA di attualità. L’emergenza COVID-19 ha determinato una rimodulazione delle priorità di lavoro e rispetto alla linea d’azione riportata ci saranno scostamenti non misurabili al momento. 

Cosa vorresti raccontarci tra un anno?

Nel 2021 vi potrò raccontare che sono stato il testimone oculare che il concetto di organizzazione positiva è una questione di approccio culturale alla vita organizzativa.

Le alleanze tra pari e la condivisione degli obiettivi con i propri leader, anche a seguito di confronto acceso, sono le chiavi di volta della trasformazione. La condivisione delle idee e l’entusiasmo sono il lubrificante del processo. Il purpouse chiaro e più alto dell’individuo è la stella polare alla quale orientare il proprio percorso e a cui guardare nei momenti di difficoltà.

Riferimenti

  • AJP 3.2 Allied Joint Doctrine for Land Operations
  • V. Gennari, D. Di Ciaccio “La scienza delle organizzazioni positive”, Franco Angeli, 2018; 
  • Cameron K.S., Trevor M.C., Leutscher “Effects of positive practices on organizational effectiveness”, The Journal of Applied Behavioral Science, 26gennaio 2011; 
  • L. David Marquet “Turn the Ship around”, Penguin Businness 2015 
  • E. Sasson, “Verso un nuovo modello di sviluppo dell’HR – Tecnologia e lavoro”, in Direzione del Personale, n.190 settembre 2019; 
  • A. Olivetti “Le fabbriche del bene”, Edizioni Comunità; 
  • www.gallup.com 
  • www.hbr.org 
  • www.2bhappy.it 
  • www.surveymonkey.com